Retinite pigmentosa
Con il termine retinite pigmentosa (RP) si indica ancora oggi un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano una perdita progressiva della visione notturna e del campo visivo periferico, e che sono caratterizzate nella maggioranza dei casi dalla migrazione di pigmento nella neuroretina, attenuazione dei vasi sanguigni retinici e pallore del disco ottico.
In molti casi vi è una perdita dell’acutezza visiva, che può condurre all’ipovisione e progredire fino alla cecità.
La diagnosi deve essere sempre confermata da un elettroretinogramma anormale od estinto.
Anche se il termine è incorretto, viene ormai usato universalmente e la tendenza è a mantenerlo.
I recenti risultati degli studi di genetica molecolare sulla RP hanno dimostrato che esiste un comune meccanismo patogenetico, la degenerazione primitiva dei fotorecettori, che avviene sulla base di mutazioni di alcune delle proteine che costituiscono il ciclo della visione.
Vengono differenziate le retiniti pigmentose in cui la malattia retinica è unica manifestazione, dalle retiniti pigmentose associate ad alterazioni di altri apparati, o sindromiche.
Esistono inoltre delle forme non genetiche di degenerazione retinica molto simili alla RP che insorgono nei soggetti predisposti in seguito ad alcune infezioni (sifilide, morbillo), all’introduzione di farmaci retinotossici (clorochina, tioridazina, cloropromazina, indometacina, tamoxifen), od a traumi oculari, le quali vengono denominate pseudo-retiniti pigmentose.
Non sono da includere, invece, nel gruppo della RP le malattie che pur avendo un meccanismo patogenetico analogo non provocano la degenerazione dei fotorecettori e quindi la cecità, e non hanno carattere progressivo, come l’emeralopia congenita stazionaria, e le distrofie maculari ereditarie, che meritano una classificazione a parte.
Negli ultimi anni il progresso delle conoscenze in campo genetico ha permesso di intravedere nuove possibilità di prevenzione e cura delle malattie ereditarie, e quindi l’attività di studio si sta indirizzando alla comprensione dei meccanismi genetici che provocano tali degenerazioni retiniche.
Infatti l’identificazione dei geni responsabili della malattia rende possibile la effettuazione di programmi di prevenzione attraverso l’identificazione dei portatori e costituisce la premessa per una futura terapia genica, ossia per la correzione del materiale genetico alterato.
Ereditarietà
La Retinite Pigmentosa, secondo le statistiche internazionali, colpisce circa una persona su 4.000 sane, però la sua diffusione è ancor più nelle isole, nelle valli ed in tutte quelle comunità ove siano frequenti i matrimoni tra consanguinei. Molto spesso essa compare tra la pubertà e l’età matura, ma non sono assolutamente rari gli esempi di bambini colpiti nella prima infanzia.
La percezione che la retinite pigmentosa avesse delle base genetiche derivò, analogamente a quanto accadde per le altre malattie ereditarie, dalla osservazione della sua familiarità, ovvero dalla constatazione, invero psicologicamente impegnativa, che in molti casi la malattia si ripeteva fra i componenti di un ceppo familiare.
Ben presto si colse in questa ripetizione, non solo una più alta frequenza della malattia fra i familiari di soggetti affetti rispetto ai familiari di sani, oppure rispetto alla sua frequenza nella popolazione generale, ma si accertò anche che la malattia, quando si ripeteva, lo faceva seguendo delle leggi esprimibili in termini matematici. In definitiva si concluse che molti casi di retinite pigmentosa seguivano le leggi genetiche di Mendel.
Le forme genetiche di RP sono essenzialmente quattro: autosomica dominante, autosomica recessiva, legata al cromosoma X, e sporadica.
Per schematizzare questo reperto, si possono proporre i tre “modelli” di eredità che seguono per l’appunto le leggi di Mendel, nel modo seguente:
* eredità autosomica dominante
Nell’ambito delle famiglie colpite la malattia segue le seguenti regole:
a) può colpire maschi e femmine con pari frequenza;
b) non salta le generazioni .
Invero la eredità autosomica dominante prevede che ogni persona affetta abbia almeno un genitore affetto ed uno dei due nonni (per parte di quel genitore) a sua volta affetto.
Questo schema però resta spesso teorico per diversi motivi: talvolta, soprattutto per le generazioni lontane, non veniva formalizzata la diagnosi, magari perché la malattia aveva una gravità clinica modesta, oppure un esordio tardivo; non si può neppure tralasciare l’evenienza che la malattia “cominci” in una persona che ha genitori e parenti sani per neomutazione di un gene.
Nel contesto di tutte le retiniti pigmentose la frequenza di quelle che si ereditano secondo il modello autosomico dominante varia da regione a regione: dal 10% circa ( in territorio svizzero) al 39% (nel Regno Unito); mediamente si propone un valore del 25% .
* Eredità autosomica recessiva
La manifestazione familiare di questo tipo di eredità è la seguente:
a) la malattia colpisce con pari frequenza entrambi i sessi ;
b) la malattia salta le generazioni, anzi non è infrequente l’evenienza che in una famiglia coinvolta compaia a memoria d’uomo un solo caso, ovvero che sia simulata una forma sporadica.
Questo comportamento familiare è riferibile al fatto che la persona affetta riceve il gene patologico da entrambi i genitori, i quali peraltro sono portatori sani.
Dunque la nascita di un soggetto affetto dalla forma recessiva prevede che si siano incontrati due genitori portatori: questa evenienza è molto rara stante la bassa frequenza del gene, però è spesso resa sensibilmente più probabile dalla consanguineità dei due genitori oppure anche dalla loro comune provenienza da un piccolo centro.
Queste due constatazioni sui genitori di un soggetto affetto fanno propendere per la forma recessiva anche quando la persona in causa è l’unica affetta nella famiglia.
La proporzione delle forme recessive nel contesto di tutte le retiniti va dal 80% nel territorio svizzero al 15% nel Regno Unito: mediamente si stima attorno al 35%.
* Eredità legata al sesso
Secondo questo tipo di trasmissione ereditaria, risultano colpiti dalla malattia solo soggetti di sesso maschile, i quali però ereditano il gene patologico dalla madre che è portatrice sana; data una donna in tale condizione, il rischio di malattia per ogni figlio maschio è del 50% .
In una famiglia nella quale compaiano più casi della malattia, la percezione della eredità legata al sesso è in genere facile.
Al solito se in un ceppo familiare compare un solo soggetto affetto di sesso maschile, è problematico stabilire se si tratti di eredità legata al sesso oppure autosomica recessiva o di un caso sporadico.
La proporzione dei casi di eredità legata al sesso varia da 1% (Svizzera e Russia) al 15% (Regno Unito); il valore che si propone mediamente è del 10% circa.
* Forme sporadiche di retinite pigmentosa
Le forme sporadiche ( circa il 30% di tutti i casi) prevedono dunque la presenza di un unico caso a memoria d’uomo in una famiglia.
La sporadicità è solo una constatazione familiare, ma è molto difficile escludere la eredità recessiva oppure quella legata al sesso, se la persona affetta è di sesso maschile.
Il fatto che molti casi di retinite pigmentosa seguano uno degli schemi mendeliani di trasmissione ereditaria, dimostra che in quei casi la malattia è dovuta alla mutazione, ovvero ad una anomalia strutturale, di un gene; il gene mutato è la causa della malattia.
Sono state scoperte numerose mutazioni di diversi geni, tutte capaci di determinare la retinite pigmentosa, tanto che, entro questa terminologia clinica, sono comprese molte forme geneticamente diverse.
Il campo nel quale le conoscenze sono ben lontane dall’essere esaurienti è quello della “patogenesi”, ovvero dei meccanismi mediante i quali la mutazione di in gene determina l’insorgenza e la evoluzione della malattia. Dunque si conoscono molte (fin troppe) cause della retinite pigmentosa, ma non è noto come agiscano.
Si può, almeno in prima istanza, proporre questa sequenza: la mutazione di un gene determina una anomalia strutturale di una delle proteine che in qualche modo partecipa alla funzione visiva; da questa anomalia deriva la degenerazione delle cellule in cui la proteina è attiva e quindi la malattia.
Nei confronti della retinite pigmentosa ha un grande valore pratico la prevenzione, la quale si esercita mediante la consulenza genetica.
A sua volta quest’ultima consiste in una raccolta approfondita delle notizie familiari della persona affetta e nell’applicare ad esse le leggi genetiche già illustrate.
Spesso si rendono utili accertamenti clinici strumentali di competenza oculistica.
È utile dare una dimensione alla applicabilità delle tecniche di diagnosi molecolare del DNA, le quali tecniche peraltro sono troppo spesso enfatizzate e generano illusioni nelle persone coinvolte da questo problema.
Per riconoscere la presenza di una mutazione che può essere causa di retinite pigmentosa in un soggetto clinicamente sano (per esempio per trarne una definizione di rischio per i suoi discendenti), bisogna sapere quale mutazione cercare fra tutte le numerose possibili.
La strategia conoscitiva ed applicativa che dovrebbe essere seguita sarebbe quella di individuare la mutazione sicuramente presente nei soggetti affetti da una forma ereditaria, per poterla poi cercare nei membri sani delle loro famiglie.
L’approfondimento e la estensione delle conoscenze del DNA quali derivano dal progetto genoma, porteranno certamente a risultati significativi in questo campo.
Epidemiologia
La RP, nel suo complesso di varianti cliniche non sindromiche e sindromiche, ha una prevalenza abbastanza variabile nelle varie popolazioni studiate: negli USA, è di circa 1:3500-1:4000, con variazioni significative nei vari Stati, in Svizzera 1:7000, in Cina 1:4016, in Norvegia 1:4440 in Israele 1:4500.
Frequenza globale mondiale (varianti non sindromiche e sindromiche): 1 caso ogni 3.000-5.000 abitanti (circa 1 milione e mezzo di casi nel mondo).
Classificazione
Nonostante la similarità del quadro clinico delle varie forme di RP, una classificazione unitaria soddisfacente non è mai stata trovata, a dimostrazione delle notevoli differenze che in realtà esistono tra forme solo apparentemente simili. Va ricordato che la RP è un fenotipo molto diffuso che rappresenta il punto di arrivo comune di molte e diverse malattie retiniche.
Innanzitutto bisogna differenziare la RP primaria, in cui esiste solo l’interessamento oculare, dalla RP che si ritrova associata a malattie extraoculari.
La RP primaria, da un punto di vista fisiopatologico, viene suddivisa classicamente in due gruppi principali: le forme in cui la perdita di funzione dei bastoncelli precede quella dei coni (“rod-cone”) e le forme in cui la perdita di funzione dei coni precede qella dei bastoncelli (“cone-rod”).
Preliminarmente è importante tuttavia classificare geneticamente le varie forme di RP, sia per fornire una prognosi di massima al paziente definendo in prima approssimazione la gravità della forma di retinopatia, sia per una valutazione delle probabilità di trasmissione ai discendenti, sia per poter suddividere la malattia in sottogruppi relativamente omogenei, che presumibilmente potrebbero avere un meccanismo patogenetico comune, quadri fisiopatologici caratteristici, e la cui categorizzazione faciliterebbe le indagini genetiche.
La RP autosomica dominante teoricamente rappresenta il gruppo delle forme meno gravi.
Da un punto di vista clinico viene suddivisa in due tipi: tipo diffuso (D) con esordio precoce, e tipo regionale con esordio ad età variabile, ma generalmente più tardivo.
Tale classificazione corrisponde entro certi limiti ai 2 gruppi ad esordio precoce (tipo I) ed esordio tardivo (tipo II) dell’emeralopia di Massof e Finkelstein.
Nel tipo D la perdita di funzione fotorecettoriale riguarda diffusamente tutto il fondo oculare e sono prevalentemente interessati i bastoncelli, mentre nel tipo R la perdita di funzione riguarda sia i bastoncelli che i coni, ma in forma localizzata, in aree determinate circoscritte del fondo.
La RP legata al cromosoma X è tipicamente la forma più severa in termini di precocità di esordio, penetranza completa, progressione relativamente rapida, alta incidenza di miopia e di cataratta.
Più frequentemente in questo tipo rispetto agli altri tipi di trasmissione l’acutezza visiva è ridotta a meno di 5/10 tra l’età di 20 e 39 anni, l’esordio della emeralopia è inferiore ai 20 anni, esiste una miopia superiore alle 2 diottrie, ed un elettroretinogramma praticamente estinto.
In un piccolo numero di famiglie con RPX tuttavia la malattia è relativamente mite nei pazienti maschi, probabilmente per ragioni di eterogeneità allelica o genetica.
In alcuni casi, questi pazienti presentano una buona acutezza visiva ed un campo visivo conservato anche dopo i trent’ anni, situazione assai rara in generale in questa forma di RP.
Alcuni di questi casi sono stati classificati come RP3 mediante analisi di linkage (vedi oltre).
In un certo numero di famiglie (41%) con RPX una percentuale significativa di portatrici (30%) della malattia mostra all’esame oftalmoscopico un caratteristico riflesso retinico nella regione para-maculare, denominato riflesso tapeto-retinico.
Il fondamento anatomo-patologico di questo riflesso non è noto.
Sintomi
I principali sintomi che possono indurre il medico a sospettare di trovarsi di fronte ad un caso di Retinite Pigmentosa sono essenzialmente due:
Cecità crepuscolare e notturna
Difficoltà a vedere in condizioni di scarsa illuminazione (muoversi e guidare di sera o di notte) o problemi di adattamento nel passare dagli ambienti illuminati a quelli oscuri (entrare in una sala cinematografica buia).
Questo fenomeno è dovuto al fatto che, almeno per la maggior parte dei casi, la malattia nelle prime fasi dello sviluppo aggredisce prevalentemente i bastoncelli.
Restringimento del campo visivo
Si manifesta con la difficoltà nel percepire gli oggetti posti lateralmente, oppure con l’inciampare nei gradini o negli ostacoli bassi.
Per farvi un’idea del disagio a cui il malato va incontro, potete immaginare di vedere costantemente il mondo da uno spioncino o dal buco della serratura.
L’alterazione del campo visivo è progressiva e può giungere ad interessare anche la parte centrale dell’occhio, con perdita del visus.
La velocità di progressione della malattia e l’età di comparsa dei sintomi variano in relazione a molti fattori tra cui il modello di trasmissione genetico.
Aumentata sensibilità all’abbagliamento
Le degenerazioni retiniche provocano spesso un’elevata sensibilità all’abbagliamento.
I contrasti svaniscono e diventa difficile percepire l’ambiente circostante.
Diagnosi
La diagnosi di RP in presenza di tutti i sintomi classici è facile ed è di pertinenza dell’oftalmologo.
Per diagnosticare la malattia vengono generalmente effettuati l’esame del fondo dell’occhio e la sua fotografia, l’esame del campo visivo, l’elettroretinogramma, la fluorangiografia, l’esame del visus.
Può essere diagnosticata fin dall’infanzia, nell’adolescenza e, non di rado, anche in età adulta.
Nei casi dubbi, la diagnosi si basa su tutti i dati clinici ottenibili (età di esordio, modalità evolutive, eventuale associazione con altri sintomi oculari od a carico di altri organi ed apparati), e su di un approfondito studio elettrofisiologico (elettroretinogramma ed elettroculogramma) ed adattometrico.
Sono esami utili e complementari lo studio del senso cromatico e la fluoroangiografia retinica.
Bisogna inoltre esaminare tutto il nucleo familiare, all scopo di definire il tipo di trasmissione ereditaria.
Esame del fondo oculare e autofluorescenza
Ha lo scopo di valutare l’apparenza morfologica della retina e di ricercare la presenza di caratteristiche macchie di pigmento sulla superficie retinica, che nella malattia hanno un aspetto caratteristico detto ad osteoblasti.
Talune forme di retinite, pur presentando gli stessi sintomi, non sono però caratterizzate dalla presenza di macchie sul fondo dell’occhio.
Molto utile risulta l’impiego della retinografia con autofluorescenza, ovvero una particolare immagine ricavata attraverso l’emissione di un fascio di luce ad una determinata lunghezza d’onda che può valutare il trofismo dei plessi coroideali dove si deposita la lipofuscina.
Esame del campo visivo
Permette di valutare la sensibilità retinica ad uno stimolo luminoso nelle varie zone della retina stessa. È utile per avere una documentazione oggettiva delle difficoltà percepite dal paziente.
Elettroretinogramma
Consiste nella registrazione dell’attività elettrica della retina in risposta a particolari stimoli luminosi, permettendo di valutare in modo distinto la funzionalità dei due diversi tipi di fotorecettori (i coni ed i bastoncelli).
L’elettroretinogramma è un esame molto importante per diagnosticare la Retinite Pigmentosa, poichè anche quando la malattia è ancora nella fase iniziale, il tracciato che ne deriva è quasi sempre estinto e molto appiattito.
Fluorangiografia
Si attua con l’iniezione per via endovenosa di una sostanza fluorescente e nella successsiva fotografia della retina in tempi diversi. Infatti tramite la circolazione sanguigna, la sostanza fluorescente giunge sino alla retina, rendendo visibili, colorandole, le arterie, i capillari e le vene, nonchè lo stato funzionale delle loro pareti.
Esame della refrazione
Permette di valutare l’acutezza visiva nella porzione centrale della retina.
Consiste nella lettura di caratteri di varia grandezza alla distanza di 5 metri.
Decorso
Il decorso della malattia ha una durata estremamente variabile ma è comunque sempre progressivo ed invalidante.
Nella maggioranza dei casi i sintomi precedentemente descritti si aggravano, il campo visivo si restringe sempre di più fino a chiudersi completamente.
Compaiono poi altri disturbi come l’abbagliamento, l’incapacità di distinguere i colori, ed una particolare forma di cataratta.
L’esito finale è purtroppo in molti casi la cecità assoluta.
Terapia
Sono stati proposti fino ad oggi una miriade di protocolli terapeutici aventi un effetto sul metabolismo del fotorecettore (vit.A, antocianosidi, ossigenoterapia, ecc.), ma nessuno si è dimostrato in grado nè di guarire nè di modificare la progressione della malattia.
Il danno dei fotorecettori nella retinite pigmentosa ha diverse origini, la principale coinvolge la fototrasduzione che comporta differenti passi mediati da più proteine che se difettose geneticamente possono portare a morte prematura il fotorecettore stesso per un’alterazione della funzione.
Molte forme di retinite pigmentosa sono associate con mutazioni puntiformi o con microdelezioni di geni così come altri deficit genetici che hanno in comune un’alterazione del metabolismo del fotorecettore.
Inoltre sono state identificate mutazioni che causano la retinite pigmentosa che alterano proteine interferiscono direttamente con i meccanismi ossidativi sia direttamente come la rodopsina che indirettamente attraverso la fosfodiesterasi la periferina o la proteina di membrana dei bastoncelli.
La diversa causa genetica comporta una certa eterogeneità clinica, questa è caratterizzata da una riduzione del letto capillare che provoca un ulteriore riduzione della pressione parziale di ossigeno a livello della coroide e della retina.
Ciò è particolarmente evidente nelle regioni immediatamente adiacenti ai fotorecettori che si presentano ricchissime di mitocondri che ricordiamo sono gli organelli deputati alla respirazione cellulare.
Le prospettive della ricerca
Sebbene l’identificazione e la classificazione della Retinite Pigmentosa risalgano alla metà del secolo scorso, tuttavia ben pochi progressi concreti sono stati compiuti fino ad oggi, sia sul fronte delle cure possibili, sia su quello, altrettanto importante, della comprensione delle cause che la determinano e che ne regolano il decorso.
Attualmente i trials più promettenti della ricerca internazionale sono i seguenti:
La Genetica
Si propone di identificare il gene od i geni responsabili della malattia, per poter eventualmente intervenire in seguito con le moderne tecniche dell’ingegneria genetica sostituendoli o ripristinandoli attraverso l’iniezione sottoretinica di vettori virali.
Cellule staminali
L’intento è quello di mettere a punto una tecnica che renda possibile il trapianto di tessuto retinico, o almeno l’innesto di cellule sane su retine malate; ad oggi i risultati sono stati insufficienti.
Immunologia
Si prefigge di verificare alcune teorie che ipotizzerebbero un’alterazione del sistema immunologico alla base della malattia.
Retina artificiale
Sono stati impiantati dei sistemi complessi che attraverso l’impiego di fotodiodi (chip) intraretinici collegati alle aree corticali visive possono riprodurre alcune immagini elementari nei ciechi totali.
Purtroppo hanno ancora molti limiti sia in termini di risoluzione che di difficoltà di impianto e di gestione, richiedono percorsi molto lunghi di apprendimento e soprattutto hanno costi molto elevati.
La Sindrome di Usher
È una forma ancora più grave di Retinite Pigmentosa.
In essa la malattia si presenta associata ad un sordomutismo presente fin dal momento della nascita, come si può facilmente comprendere, questa patologia è particolarmente invalidante in quanto colpisce, oltre al senso della vista, anche quello dell’udito; fortunatamente la Sindrome di Usher non è molto diffusa: si pensa che coinvolga il dieci per cento di tutti i casi di Retinite Pigmentosa.
Esistono infine anche altre sindromi che associano la Retinite ad altre menomazioni particolarmente gravi come ritardo mentale, polidattilia, microcefalia; si tratta comunque di affezioni, per fortuna, molto rare.