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Ambliopia

Dal punto di vista clinico tale termine è indicativo di una condizione patologica  di ridotta acuità visiva (differenza  minima di visus di almeno 2/10 tra i due occhi), generalmente monolaterale, avente come noxa un ostacolo al normale procedimento percettivo di input neuro-sensoriale.
Un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi dell’ambliopia è gestito propriamente da una corretta stimolazione sensoriale dell’apparato visivo durante il suo periodo critico di sviluppo organico iniziante  immediatamente dopo la nascita e terminante verso il sesto anno di vita circa.
L’ambliopia può manifestarsi unilateralmente o bilateralmente ed implica quasi sempre una deprivazione visiva intervenuta durante i primi mesi o anni di vita.
É fondamentale riconoscerla in tempi utili poiché si tratta di una condizione di perdita visiva senza difetti organici associati anche se in effetti esiste sempre una componente anomala (es.: strabismo, anisometropia, isoametropia, opacità dei mezzi diottrici), scatenante o predisponente uno o entrambe gli occhi all’ambliopia.
L’ambliopia viene generalmente classificata in base al tipo di patologia associata o concomitante: più spesso l’anomalia si riscontra unilateralmente.
Il tipo più comune di ambliopia è quella correlata ad un problema di motilità oculare o strabismo (ambliopia strabica) presente maggiormente quando è associata ad un’esotropia anziché ad un’exotropia.
La successiva forma più comune di ambliopia è quella anisometropica in cui la differenza nel difetto rifrattivo presente nei due occhi comporta uno scarso sviluppo visivo di uno dei due.
In un difetto rifrattivo ipermetropico, l’ambliopia ex anisometropia può verificarsi quando è presente una differenza superiore ad 1-2 diottrie; nel caso invece di un difetto rifrattivo miopico, il rischio di una potenziale ambliopia anisometropica si ha quando è presente una differenza superiore alle 3 diottrie.
Meno comunemente questo tipo di ambliopia è presente nell’astigmatismo.
Una forma invece molto importante è quella cosiddetta da deprivazione, realizzantesi ogni qualvolta esiste uno squilibrio nella trasparenza dei mezzi diottrici tra i due occhi o  una agenesia strutturale.
L’ambliopia isoametropica si verifica in presenza di difetti rifrattivi bilaterali tanto gravi da impedire che una qualunque immagine nitida si formi sulla retina in via di sviluppo.
Probabilmente in futuro la classificazione dell’ambliopia sarà basata non più sui fattori predisponenti di fondo, ma piuttosto sugli aspetti neuro-sensoriali.
L’ambliopia interessa il 2-4% della popolazione generale.
La causa più comune è data dallo strabismo, seguito dall’anisometropia, dalla cataratta congenita o da altre patologie ad incidenza più rara (sindrome di Leber, neuriti tossiche, distrofie maculari).
I test di screening per l’assistenza primaria che si effettuano in genere di routine non comprendono un accurato esame dei vizi rifrattivi.
Indubbiamente qualsiasi indagine diagnostica deve essere correlata da una attenta valutazione delle strutture oculari interne ottenibile facilmente con tramite l’oftalmoscopia diretta.
Prescindendo dal significato diagnostico, sebbene un adulto con un ambliopia unilaterale in genere non presenti importanti limitazioni nella vita quotidiana, la prevenzione dell’ambliopia è in larga parte giustificata per salvaguardarsi dagli effetti devastanti causati dalla perdita della vista dell’occhio sano ad un’età in cui l’ambliopia non può essere più trattata.
L’occhio ambliope presenta un complesso sintomatologico abbastanza tipico:  è un occhio ad acutezza visiva sensibilmente ridotta (da pochi decimi fino alla sola percezione del moto della mano) che distingue relativamente meglio simboli isolati piuttosto che raggruppati, la cui fissazione può frequentemente può essere eccentrica (area retinica non foveale) quando costretto da occlusione dell’occhio dominante; inoltre presenta manifesta incapacità o in coordinazione nell’eseguire movimenti fine e nell’assumere e mantenere la fissazione.
Nel quadro clinico dell’ambliopia strabica, il deficit di visus costituisce il sintomo fondamentale, inoltre, questa forma, presenta alcune caratteristiche che la differenziano abbastanza nettamente dalla diminuzioni visive di altra natura: la più tipica è la difficoltà di separazione in cui l’occhio ambliopico mostra un visus decisamente migliore quando questo è esaminato con simboli isolati che non con gli stessi simboli allineati su una riga e riuniti come nelle comuni tavole ottotipiche.
Nell’ambliopia anisometropica, in cui i disturbi motori della fissazione sono trascurabili, la difficoltà di separazione è invece molto meno evidente.
La sensibilità luminosa dell’occhio ambliope è stata oggetto di diversi studi con metodiche sofisticate nel tentativo di fornire una spiegazione fisiopatologia alla riduzione della acutezza visiva poiché esso, quando è adattato alla luce, si trova nelle sue peggiori condizioni funzionali.
In condizioni fotopiche la sensibilità luminosa della retina centrale è diminuita in modo direttamente proporzionale all’aumento del livello di adattamento alla luce: la soglia luminosa centrale è aumentata, così pure la frequenza critica di fusione.
Le indagini strumentali ai fini della corretta valutazione del visus nei pazienti pediatrici sono ancora oggi rimaste verosimilmente invariate nel tempo: oftalmoscopia diretta, schiascopia in cicloplegia, indagini elettrofunzionali (PEV, ERG), esame della fissazione e della motilità oculare, facilmente eseguibili in qualsiasi centro ambulatoriale specialistico; tuttavia la maggior difficoltà d’interpretazione è proprio causata dallo sviluppo soggettivamente imprevedibile del sistema visivo a causa della diversità di risposta nei riguardi degli inputs sensoriali presentati nel periodo di sviluppo al bambino.
Di conseguenza, molte volte, non si possono tracciare delle linee nette di demarcazione tra range patologico e/o fisiologico nella valutazione di un soggetto pediatrico ambliope in quanto trattasi sempre di una situazione modificabile nel tempo, in positivo come in negativo.
Qualora il sospetto diagnostico sia stato confermato in più valutazioni, si deve procedere in tempi utili ad una terapia antiambliopigena prima che il “periodo plastico” sensoriale possa terminare e quindi rendere vano ogni tentativo di recupero riabilitativo.
Nella pratica clinica è consigliabile quindi, per quanto riguarda i protocolli da seguire in questo gruppo di età, acquisire familiarità con uno o due screening di valutazione disponibili, farsi una propria opinione personale attraverso i dati emersi su cosa è “normale” e approfondire i risultati dubbi con ulteriori test specifici e con un accurato follow-up creando una corretta storia clinica da poter avere disponibile per le valutazioni future.
Come per gran parte ormai di molte patologie sistemiche a carattere degenerativo, vale anche per l’ambliopia il discorso della diagnosi precoce avendo ben presente i limiti, ma allo stesso tempo la possibile modificazione  funzionale in risposta ad uno stimolo, del tessuto nervoso per il quale attualmente sono disponibili numerosi approcci diagnostici ma paradossalmente ancora poche risorse terapeutiche qualora esso risulti compromesso.